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L’acqua non ha memoria. Storia salvata del disastro del Vajont

In data 12 dicembre 2023, è stato presentato, nella sala Oriana Fallaci di palazzo Ferro Fini, il libro “L’acqua non ha memoria. Storia salvata del disastro del Vajont” scritto da Piero Ruzzante (ex-parlamentare dell’Ulivo e consigliere regionale dal 2010 al 2020) con Antonio Martini e pubblicato da Utet nel settembre scorso, a ridosso del 60° anniversario del disastro del Vajont. 
Si tratta di un romanzo-inchiesta sull’immane tragedia del Vajont, frutto di quattro anni di ricerche documentali condotte da Piero Ruzzante volte a recuperare le voci dei superstiti, ad analizzare le carte processuali, a raccogliere documenti rimasti nascosti negli archivi e ad indagare la verità giudiziaria e civile. 
Ha aperto l’evento il Presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti, il quale nel commentare la vicenda degli esiti processuali della tragedia del Vajont ha voluto ricordare per analogia il drammatico caso del cedimento strutturale della diga del Gleno, nelle valli Orobie, avvenuto quarant’anni prima, che causò 356 morti accertati. “Quella diga - ha ricordato Ciambetti - era stata costruita con imperizia, in modo superficiale e certi meccanismi del potere sembrano perfettamente sovrapponibili, per cui il monito che ricaviamo da queste vicende è fare appello all’etica della responsabilità ed invitare i cittadini a non smettere mai di indignarsi, perché la democrazia rischia di essere travolta se lo Stato non garantisce la giustizia”. 
È seguito l’intervento della Consigliera regionale Erika Baldin, componente dell’Ufficio di presidenza del Consiglio e promotrice dell’evento, la quale ha ricordato che la vicenda del Vajont è scolpita nella memoria collettiva, specie dopo l’orazione civile di Marco Paolini del 1997, e che Piero Ruzzante con la sua ricerca svolta con metodo scientifico ha approfondito la verità giudiziaria di un disastro prevedibile. “Abitiamo un territorio soggetto al rischio idrogeologico - ha aggiunto Baldin – e spesso tendiamo a dimenticarlo; succede anche oggi con i nuovi timori di rischio che si affacciano, in particolare di fronte al rischio di trivellazioni in Alto Adriatico. Dobbiamo imparare da queste tragedie e non incorrere negli stessi errori: se la natura viene gestita male provoca disastri immani”.
Da ultimo è intervenuto l’autore Piero Ruzzante, il quale ha spiegato che quello del Vajont non fu un disastro naturale, ma una tragedia annunciata, in quanto tre anni prima i proprietari e i tecnici della Sade pur sapendo già tutto non fecero nulla per mettere in sicurezza il ‘popolo’ di quel territorio. “L’acqua non conserva memoria degli oggetti e delle persone - ha osservato Ruzzante - è l’uomo che deve averla. Da qui il titolo che ho scelto per un libro che si legge come un romanzo ma è invece frutto di una rigorosa ricerca storica sulle carte processuali del Vajont (salvate fortunosamente dal terremoto dell’Aquila del 2006 ed entrate nell’archivio “Memoria del mondo” tutelato dall’Unesco), e sui documenti presenti negli archivi degli avvocati della Sade e delle parti civili; ampio spazio è dedicato inoltre alle mille testimonianze raccolte tra gli abitanti del Vajont, i dipendenti della diga, i testimoni di allora. Ho voluto, infatti, mettere al centro loro, le vittime, le persone del Vajont fotografate nella loro quotidianità nella settimana prima del 9 ottobre ’63 e poi nella lunga vicenda processuale che si concluse nel 1971, con due sole condanne”. 
“La convinzione che percorre le oltre 300 pagine di questo libro - riassume l’autore - è che tre anni prima la Sade e i suoi consulenti sapevano esattamente tutto, in quanto il 4 novembre 1960 c’era stata una frana premonitrice che aveva allertato i vertici e i tecnici Sade e gli studiosi dell’Università di Padova. Purtroppo, lo studio svolto dal professor Augusto Ghetti, docente di idrodinamica, fu tenuto segreto e fu reso noto dal tecnico Lorenzo Rizzato, dopo il 9 ottobre. Rizzato fu anche incarcerato perché ne trasmise copia all’on. Franco Busetto, che presentò interrogazione parlamentare al governo. La ‘prova regina’ del racconto di Ruzzante proviene dai faldoni dello studio dell’avvocato Alessandro Brass (padre del regista Tinto Brass e figlio del pittore Italico Brass) che aveva assunto le difese dell’ingegner Nino Biadene della Sade, il massimo responsabile della costruzione della diga. Da quelle carte, conservate all’Ateneo Veneto, emerge con nettezza la prevedibilità del rischio, l’incauta sospensione del principio di precauzione e la manipolazione da parte delle istituzioni economiche finanziarie private dell’istituzione pubblica Stato e della scienza”.
“La vera storia del Vajont - ha concluso l’autore - ci dice che non è stata colpa della ‘natura matrigna’, ma della sete di profitto e di una scienza asservita ai poteri forti”.